Sardegna: sintesi di una lunga storia di colonialismo


Scritto da gea-staff
pubblicato il 30/11/2017 aggiornato il 19/12/2017
Categoria: cultura e tradizioni
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cultura e tradizioni
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La storia del colonialismo in Sardegna, come del resto di tutto il Sud Italia, da parte dei potenti di turno affonda le proprie radici fin dall'Unità d'Italia.

Con la nascita dell'Italia democratica la musica non cambiò. Cambiarono le strategie ma la sostanza rimase la stessa: uno Stato "padrone" che, attraverso apposite leggi, impone la propria politica socio-economica in una terra considerata problematica con conseguenze deleterie: sfruttamento delle risorse, inquinamento, arricchimento del Nord, disoccupazione etc..
Una delle principali cause di questo scempio? Il tentativo di attuare "coattamente" delle politiche e dei modelli economici senza conoscere e, soprattutto, comprendere le diversità territoriali legate alla storia, all'identità, alla cultura e alle tradizioni del luogo.

La Sardegna fino agli anni 50 era un'isola dove la fonte primaria di sostentamento faceva perno sulle attività agropastorali e, a seguire, pesca e piccolo artigianato. Le sue coste e il suo entroterra erano incontaminati; luoghi in cui la natura, spesso selvaggia, si mostrava in tutta la sua bellezza. Una terra che, a causa delle carenza di infrastrutture idonee, come ad esempio quelle dei trasporti, è rimasta isolata dal resto della nazione.

Anni 50: Piano di Rinascita (introduzione forzata di nuove attività)

Agli inizi degli anni 50 lo Stato centrale cercò di dar luogo ad uno sviluppo armonioso dell'economia dell'isola promuovendo, a suon di finanziamenti pubblici attraverso il cosiddetto Piano di Rinascita, la creazione di due grandi poli petrolchimici: uno insediatosi a Porto Torres, gestito dall'imprenditore brianzolo Nino Rovelli, e l'altro a Sarroch, in provincia di Cagliari, gestito dall'imprenditore milanese Angelo Moratti (Saras - raffineria).
Contemporaneamente, nel 1956, lo Stato individuò nella Sardegna il territorio ideale per "impiantare" anche l'industria militare con la creazione di due grandi poligoni per addestramenti ed esercitazioni militari: uno a Salto di Quirra e l'altro a Capo Teulada. Le cosiddette servitù militari.
Per chi non lo sapesse, la servitù è un istituto della legge che prevede una limitazione del diritto di proprietà di un soggetto, pubblico o privato, dietro la corresponsione di un indennizzo. Nell'esercizio di tale diritto si può impedire il godimento del bene, nel nostro caso di un terreno, sia temporaneamente che permanentemente. Ad esempio, spesso accadeva che ai pastori e pescatori venisse impedito di attraversare intere aree, via terra o via mare, durante il periodo di esercitazioni. E considerando che pascolo e pesca rappresentavano le fonti primarie per il sostentamento delle famiglie della zona, comprenderete bene il disagio - e il danno - arrecato all'intera popolazione.

Obiettivi del Piano e le sue conseguenze reali

L'idea principale del Piano di Rinascita era quella di creare nuove opportunità di lavoro innescando un processo di sviluppo industriale virtuoso che avrebbe, nel breve tempo, risollevato e trascinato le sorti dell'intera isola. Il tutto in modo armonioso, cioè con il coinvolgimento di tutto il territorio. In breve: ti finanzio, tu crei una prima azienda in loco, formi il personale, lo specializzi e, successivamente, apri delle succursali con gente del posto in altre zone dell'isola. E così via.
La realtà, di lì a poco, fu un'altra con conseguenze negative:
  1. le attività agro-pastorali subirono una riduzione sia del territorio a disposizione che della manodopera attiva;
  2. i finanziamenti periodicamente stanziati per agricoltura e pastorizia si ridussero. Lo Stato, infatti, con l'intento di incentivare lo sviluppo industriale iniziò a dirottare i fondi verso le nuove attività;
  3. Spopolamento demografico, una piaga che ancora oggi persiste.
E perché persiste? Perché quello sviluppo "armonioso" programmato su tutto il territorio non produsse gli effetti sperati. Anzi. I poli hanno continuato ad "ingerire" finanziamenti senza però ampliarsi strutturalmente e capillarmente su tutto il territorio e i sardi, in una fase iniziale, furono costretti ad emigrare all'interno della stessa isola nelle zone limitrofe ai poli industriali, creando la nuova classe operaia. Sfruttata. (Ad esempio, ricordate quel sistema discriminatorio e poco equo delle Gabbie salariali?, ndr)

Anni 60: La Commissione d’inchiesta parlamentare - Il banditismo

Latitanti, omicidi, sequestri di persona: negli anni 60 le statistiche producevano dati allarmanti e in continuo aumento. Allo scopo di arginare il fenomeno del banditismo che si stava sviluppando, soprattutto nell'entroterra sardo, verso la fine degli anni 60, lo Stato istituì una commissione parlamentare guidata dal senatore Giuseppe Medici.
Soluzione individuata? Nel 1969 si decise di creare un nuovo poligono militare. Stavolta a Pratobello, frazione di Orgosolo. Ma la nota e leggendaria rivolta non violenta della popolazione costrinse lo Stato a fare un passo indietro. 
[Per approfondimenti leggi: Rivolta di Pratobello - Giugno 1969

Anni 70: Secondo Piano di Rinascita

Nel 1972, dopo due anni e mezzo di studi, la Commissione Medici pubblicò un rapporto in cui individuava la radice del banditismo nella pastorizia e il suo fulcro nella Barbagia.
Queste conclusioni si trasformarono in un disegno di legge (1972) approvato nel 1974, in cui si decise di ricalcolare i vari finanziamenti per le attività, modificando la destinazione e responsabilizzando la classe politica locale nella scelta dei destinatari finali. In poche parole:
  • ulteriore riduzione dei fondi per la pastorizia/agricoltura, 
  • più fondi per l'industria con la creazione di un nuovo polo industriale (chimico ed energetico) ad Ottana, in provincia di Nuoro. 
Ecco il sunto del Secondo Piano di Rinascita che aveva come finalità quella di "raddrizzare" il tiro rispetto ai primi interventi realizzati. Ovviamente, falliti.
Evidentemente la tecnica dell'imposizione plateale non aveva sortito gli effetti sperati, quindi, occorreva un tocco di "astuzia" in più. 
Come poter raggiungere l'obiettivo prefissato riducendo la pastorizia nell'isola? Semplice! 
Se riduci all'osso i finanziamenti destinati in bilancio alla pastorizia e all'agricoltura, scoraggi la gente nel portare avanti questa economia. I giovani, risorsa del futuro, saranno costretti a specializzarsi come classe operaia, abbandonando per sempre i campi. E con essi cultura e tradizioni.

Ma anche in questo occasione si è voluto portare avanti una politica senza tener conto dell'essenza del luogo. Infatti, secondo voi, poteva funzionare un polo chimico ed energetico, dislocato nel centro dell'isola, lontano chilometri dal mare e con una profonda carenza di infrastrutture necessarie (ed essenziali!) per i trasporti? 
Beh, la risposta è semplicissima: no. Fondi sprecati e obiettivi non raggiunti visto che, anche in questo caso, statisticamente, l'occupazione non diede i risultati sperati. Anzi.

Anni 70-80: Basi militari e armamenti nucleari

Le basi militari in Sardegna sono state un fenomeno sviluppatosi solo dopo la Seconda Guerra Mondiale? In realtà no
Vista la posizione strategica della Sardegna nel Mediterraneo e la sua conformazione fisica, l'isola ha visto nascere le primissime basi sin dai tempi della monarchia dei Savoia.
Di seguito un breve excursus:

1793. La flotta francese, in cui partecipò anche Napoleone Bonaparte, effettuò un tentativo di invasione (fallito), nell'arcipelago della Maddalena ai danni del Regno dei Savoia. Da quel momento l'intera area divenne cruciale per il controllo della zona e, nel 1803, l'ammiraglio inglese Horatio Nelson decretò quel tratto di mare strategico ed istituì la prima base navale della Marina Inglese.
1887. Con i cambiamenti degli scenari politici, il punto cruciale per la milizia inglese divenne la zona delle Bocche di Bonifacio e, per vigilare l'area in pianta stabile, trasformarono Capo d'Orso (Palau) in una nuova fortezza militare.
1914-18. Durante il primo conflitto mondiale, anche se la Sardegna non venne coinvolta, le fortezze di Palau vennero ulteriormente rafforzate.
1939-45. Durante la Seconda Guerra Mondiale, invece, Capo d'Orso ricoprì un ruolo fondamentale per la protezione della Regia Marina italiana nel porto de La Maddalena. Oggi la base versa in uno stato di abbandono, ceduta negli anni dalla Marina allo Stato e da quest'ultimo alla Regione.

Con il passare del tempo le basi si sono trasformate da semplici caserme-scuole in postazioni strategiche per il controllo del Mediterraneo e per attività ad ampio raggio: addestramento, esercitazioni, guerre simulate, sperimentazioni di nuovi armi e, non per ultimo, deposito di carburanti, armi e munizioni. Oltre a creare una capillare rete di spionaggio e telecomunicazioni.
Dagli anni 60-70 iniziarono a svolgere anche attività di deposito super vigilato per l'arsenale nucleare come, ad esempio, i missili BGM-109 Tomahawk Cuise, dotati di testate nucleari, oppure gli stessi NB36, bombardieri con reattori nucleari.

Il rischio di un'apocalisse atomica "accidentale" non era remoto. 
La stessa cronaca di quegli anni riportò la notizia choc del rischio corso in Puglia dove, nella base di Gioia del Colle (Bari), alcune testate nucleari abbandonate alle intemperie vennero colpite da fulmini per quattro volte. 
Il rischio evidente, gli allarmi degli stessi scienziati e l'indifferenza degli alti vertici militari spinsero il governo americano ad incaricare direttamente la JCAE (Joint Committee on Atomic Energy - Comitato congiunto per l'energia nucleare) ad effettuare dei sopralluoghi e verificare la sicurezza in tutte le basi N.A.T.O europee. Il resoconto finale, datato 15 febbraio 1961 e presentato al presidente Kennedy, era allarmante ma venne immediatamente segretato con il timbro "sicurezza nazionale". La verità venne a galla solo nel 1996 quando decadde il vincolo di segretezza. 

Il patto segreto firmato da Belzebù
Non erano rari i casi in cui i vertici militari stipulavano accordi segreti con i vari governi. Successe anche il Italia.
Nel 1972, ad esempio, il governo Andreotti, attraverso un accordo "segreto", avallato dal protocollo in forma semplificata [1] che consentiva di scavalcare il Parlamento e di ignorare la Costituzione (art.11,80,87 [2]), acconsentì agli Stati Uniti il dispiegamento di una flotta di sommergibili a propulsione nucleare nella base militare de La Maddalena. Un accordo scoperto anni più tardi ed etichettato dalla stampa come "il patto di Belzebù" che generò un aspro dibattito in Parlamento nella completa indifferenza del Governo. Lo stesso Comune de La Maddalena, attraverso una richiesta ufficiale ed approvata all'unanimità, chiese al Governo di revocare tale permesso. Ma, ovviamente, ricevettero risposte sterili (orecchie da mercante?, ndr).

Anni 70-80: presa di coscienza sarda, indipendenza e muralismo

Già dalla fine degli anni 60, con la rivolta di Pratobello (giugno 69), la presa di coscienza del popolo sardo iniziò a manifestarsi e diffondersi in tutta l'isola a macchia d'olio. Il malumore, conseguente alle politiche di uno Stato centrale che stava "violentando" l'identità sarda, stava prendendo il sopravvento. 
E la politica locale? 

L'inizio degli anni 80 segnò una svolta indipendentista di una fazione politica in fermento che desiderava distaccarsi da Roma ed avviare un processo di sviluppo che sfruttasse le risorse dell'isola nel rispetto della propria identità. Un modo per porre fine al colonialismo subìto negli anni sotto varie forme  ed essere artefici del proprio destino.
Il PSd'Az, Partito Sardo d'Azione (1921), dove fra i fondatori ritroviamo esponenti provenienti dalla nota Brigata Sassari, come Emilio Lussu, nel dicembre del 1981 introdusse una radicale e rivoluzionaria modifica al proprio Statuto. Nell' articolo 1 venne aggiunta, per la prima volta, la parola "indipendenza" [3]. Uno dei promotori di tale iniziativa fu Salvatore Doddore Meloni, noto leader indipendentista sardo. 
[ Scopri chi era Doddore Meloni ]

Contemporaneamente, tra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 80, ci fu un altro movimento che cercò di smuovere le coscienze e che, nel breve tempo, si diffuse in tutta le Sardegna: il muralismo sardo.
Quasi tutti i dipinti murali diedero vita ad una protesta di impatto visivo e una sensibilizzazione capillare della popolazione attraverso pennelli e colori. Una corrente artistica che protestava contro un governo centrale e le sue scelte, incapace di garantire risorse ed opportunità in base a principi di equità, meritocrazia e responsabilità. I soggetti principali delle varie opere, infatti, erano le basi N.A.T.O, simbolo della militarizzazione dell'isola, l'emigrazione "rassegnata" della popolazione sarda, l'identità agropastorale etc..


Un piccolo bilancio di questa politica colonialista

La maggior parte del malessere del popolo sardo ha le proprie radici in questi avvenimenti che, volenti o nolenti, hanno "modificato e stravolto" l'identità e le tradizioni locali. 
Basti pensare che:
  • il 60-65% delle servitù sul territorio nazionale sono concentrate in Sardegna;
  • in circa 1/5 della costa sarda è vietata la balneazione proprio per le zone in uso ai militari;
  • posti di lavoro creati sono stati inferiori a quelli preventivati e, di questi, molti si sono trasformati in cassa integrazione e disoccupazione;
  • le attività agropastorali si sono ridotte notevolmente, idem per l'artigianato;
  • nonostante i vari finanziamenti ricevuti, molte aziende hanno chiuso i battenti e la maggior parte della nuova classe operaia è stata costretta, con spirito di rassegnazione, ad emigrare fuori dalla Sardegna per garantire un sostentamento alla propria famiglia;
  • la promessa di creare uno sviluppo armonioso è miseramente fallito (nonostante il fiume di denaro usufruito per anni dalle aziende del Nord);
  • pastori vennero sfruttati dagli industriali caseari e dei proprietari del pascolo (la percentuale di guadagno a loro destinata nella catena produttiva era bassissima);
  • molte zone ricche di risorse, come il carbone, vennero sfruttate all'estremo con una conseguente deturpazione del territorio;
  • intere zone vennero disboscate da imprenditori del Nord in cambio di pochi spiccioli;
  • la presenza di arsenale nucleare disseminato nel territorio, spesso non dichiarato dagli stessi militari;
  • inesistenti sistemi di sicurezza degli arsenali nucleari (con i relativi rischi di disastri accidentali, anche dovuti a semplici intemperie);
  • l'inquinamento e il relativo danno ambientale generato dai grandi poli industriali;
  • il grave e l'elevato rischio per la salute presenti intorno ai poligoni militari. Flora e fauna devastata e contaminata. (Avete mai sentito parlare della sindrome di Quirra?)
E queste sono solo alcune conseguenze di quelle politiche "imposte" dall'alto che, per decenni, hanno coinvolto l'isola e ne hanno condizionato il futuro.

E' questo il prezzo che un popolo deve pagare per il progresso? 
Altrui, perlopiù.




Approfondimenti
[1]: Forma semplificata: una deroga che consente, mediante una semplice firma di un qualsiasi funzionario o militare delegato dal Governo, di concludere un accordo senza  l’esame e l’approvazione del Parlamento.

[2]: Costituzione - Articolo 11: << L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.>>
Costituzione - Articolo 80: << Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali [cfr. art. 87 c. 8] che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi [cfr. artt. 72 c. 4, 75 c. 2, V]. >>
Costituzione - Articolo 87: elenca le funzioni del Presidente della Repubblica e, nel caso in questione, il riferimento è: Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere [cfr. art. 80].

[3]: Statuto PSd'Az: Articolo 1 (Il partito): << Il "Partidu Sardu – Partito Sardo d’Azione" è la libera associazione di coloro che si propongono, attraverso l’azione politica, di affermare la sovranità del popolo sardo sul proprio territorio, e di condurre la Nazione Sarda all’indipendenza.>>


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Riferimenti /Ringraziamenti


Scopri alcune curiosità sul famigerato Editto delle Chiudente emanato dal governo sabaudo e le conseguenze (nefaste) sulla Sardegna

Scopri le opere murali dipinte durante il periodo del muralismo sardo.


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